giovedì 13 marzo 2008

Inventiamo "I silenzi delle Dolomiti"

"Una manciata di decibel non si nega a nessuno. Non quelli delle strade ai quali ci ha da un pezzo abituati il traffico, ma a quelli puliti, limpidi, sonori, all'aria aperta, i veri decibel di montagna lanciati sulle piste da sci, che inseguono le seggiovie, avvolgono i pendii, sbucano dietro la curva, aspettano il turista con l'allegria di un comitato di accoglienza. Decibel che la musica spesso non riesce a sottomettere perché vincono loro sulla melodia e talvolta pure sul ritmo.
Non è bello sapere che qualcuno non apprezza, scambiandoli per fastidioso frastuono. Stanno diventando protagonisti della giornata, perché non farci un accordo di convivenza e, soprattutto, non convincersi che questo è il nuovo corso e pertanto è il corso giusto?
Il mio amico Ulisse, grande sciatore con il torto di amare anche l'ambiente, si è permesso un giorno di contestare l'altoparlante sulla vetta della Paganella, ma è stato redarguito e messo all'angolo da una domanda a fil di logica: Non posso sparare musica in città e allora dove se non a 2.000 m? Elementare, Watson. La città si è già dotata di rumori propri, non c'è più spazio per gli altri. Ma la montagna era vergine, il silenzio opprimeva animali e uomini e nessuno sapeva più come fare a stordirsi. Il relax fa invecchiare precocemente, oggi si vive sulla corda ed è possibile delegare la concentrazione all'esterno, liberi di scegliere come farsi del male.
Il mio amico Ulisse si consideri un antenato e la smetta di pensare che in democrazia tutti i diritti sono uguali per cui si devono rispettare i diritti di tutti. Vince la maggioranza? No, vince chi impone, anche perché sempre più spesso chi accetta non si accorge di accettare. E non si tratta neppure di persuasione occulta, anzi, più palese di così!
Sono stati inventati "I suoni delle Dolomiti", performance pregevoli che riescono talvolta a rendere l'alba anche più bella. Perché non inventare anche "I silenzi delle Dolomiti"(e delle altre montagne) come prova di civile convivenza con la natura nel suo insieme? Sarebbe un bell'esperimento, forse anche esportabile.
Sul piccolo spiazzo del Palon, dove era usanza prendere il sole spartendo con altri i lettini di legno, il cielo un tempo sembrava confondersi con la neve e scendeva una pace totale, attimi per sognare, ciascuno geloso di un sogno personale, tutto suo. Sul Palon è ancora possibile prendere il sole ma il sogno diventa collettivo, guidato dalla musica adattata al calo generale dell'udito. Voulez vous venir a couchere avec moi ce soir, ce soir, è piacevole essere accomunati allo stesso tempo dalla stessa idea nello stesso posto.
C'è sempre chi non gradisce, però, e allora nella vasta gamma delle opzioni gli è possibile sfruttare il giornaliero allo spasimo, scendere e risalire, scendere e risalire nel tentativo di sfuggire durante il non breve percorso in seggiovia all'assalto dei cd che rimbalzano dal monte al piano, dove il bravo intrattenitore inventa giochi e svaghi per i bambini sommersi da ritmi indiavolati. Animazione per animare, talvolta per rianimare. Nella speranza che non salti fuori il solito antiquariato a ricordare che anche una volta era permesso sopra i 1.000 metri, ma che la libertà alla fine si limitava a ingozzarsi di omelette portate da casa e a tirare il rutto della digestione."


(Il Palon)

Riporto oggi questo pensiero di Sandra Tafner (sandra.tafner@gmail.com), pubblicato lunedì 10 marzo su L'Adige, in merito allo squilibrato rapporto che si è instaturato tra "progresso/civiltà" ad ogni costo e l'ambiente montano. Lo trovo molto valido e attuale, purtroppo!

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